Quale welfare?


Quali possono essere gli sviluppi dei sistemi di welfare tra crisi economica, vincoli di bilancio e forme emergenti di disuguaglianza ed esclusione sociale?

Di questi temi ha parlato Chiara Saraceno al Festival dell’Economia tenutosi a Trento nei giorni scorsi.

Una delle sociologhe italiane di maggior fama. Importanti i suoi studi sulla famiglia, sulla questione femminile, sulla povertà e le politiche sociali.

La sociologa Saraceno ha spiegato la necessità urgente di un welfare più universalistico, quindi anche più amichevole nei confronti delle donne, dei giovani, delle famiglie con figli oltre che più attento a chi si trova in povertà.

“Ma il nuovo Governo Letta come intende procedere, sia pure gradualmente, in materia di welfare? È già successo che buone intenzioni siano state contraddette, non solo o tanto da mancanza di risorse, quanto da scelte sbagliate che hanno peggiorato ulteriormente la situazione”.

In questo quadro illustra la relatrice si rischia che i tagli indiscriminati alla sanità non hanno inciso per nulla sui meccanismi di formazione della spesa, né sulle disuguaglianze territoriali, peggiorando invece in molti casi il servizio, mentre molte famiglie strette nella morsa della crisi non c’è la fanno più a pagare i ticket e rinunciano a farsi curare. Dalla mancata prevenzione e dai controlli tardivi è altamente probabile che verranno in futuro costi non solo umani, ma finanziari. La riforma delle pensioni, argomentata come necessaria per salvaguardare le giovani generazioni, non ha solo creato un “tappo” alla domanda di lavoro (di giovani) in un periodo in cui questa era già scarsa. Ha creato anche il fenomeno degli esodati per garantire, doverosamente, i quali occorre impegnare una quantità di risorse non ancora esattamente quantificata.

Non basta, prosegue la professoressa, la rituale evocazione della lotta all’evasione fiscale per far fronte alle misure annunciate come urgenti (rifinanziamento della cassa integrazione) e per rendere realistiche le promesse di riforma, mentre si riducono le entrate. Perché i lavori da fare e non fatti sono tanti come nella cura, nell’ambiente, nell’istruzione e formazione, nella coesione sociale. Non farli produce malessere e abbandono. Per la docente piemontese è fondamentale investire in questi lavori, considerarli come un investimento indispensabile, incentivare la domanda di lavoro in questi settori anche in qualche nuova forma di partnership pubblico-privato, non creerebbe solo domanda di lavoro ma “ costituirebbe – chiosa la docente – anche un argine contro la disintegrazione sociale”.


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