Mobilitazione dei lavoratori dei servizi pubblici


Scuola, sanità, sicurezza e soccorso pubblico e privato, università, ricerca, funzioni pubbliche, privato sociale, servizi locali

Al centro della “rivoluzione del buon senso” promossa e promessa dal Governo ci sarebbe dovuto essere un “investimento straordinario nella Pa” con l’obiettivo di consegnare al Paese un sistema dei servizi pubblici più efficiente, veloce, meno costoso, equo.

Con risultati che sconfessano tutti i propositi di rilancio della Pa annunciati da un Esecutivo che continua a fare dell’innovazione la sua bandiera, salvo ricorrere ai vecchi metodi: quello dei tagli lineari e dell’ulteriore prolungamento del blocco che implica ulteriori sacrifici a carico di chi ha già dato troppo, siano essi lavoratrici e lavoratori o cittadini

La verità è che la “rivoluzione” di cui parla questo governo si annuncia come una forma mascherata di continuismo: nell’assenza di interventi efficaci su sprechi e spesa improduttiva, nel mantenimento delle troppe posizioni di privilegio, nella debolezza rispetto alle lobby della spesa e delle poltrone, nel continuo rinvio di una vera politica di revisione della spesa e nella totale mancanza di un progetto complessivo per la riorganizzazione dei servizi pubblici e il rilancio della contrattazione, nella resistenza ad affrontare il nodo del rapporto con i datori di lavoro privati affidatari di servizi pubblici.

Il blocco del Paese

Bloccare la contrattazione vuol dire bloccare il Paese. Cittadini, famiglie, imprese, madri lavoratrici, anziani non autosufficienti, disabili chiedono servizi appropriati, veloci, innovativi, di qualità.

Prigioniero di un preconcetto, il governo continua a considerare la PA come una zavorra incapace di fungere da motore. Ciò che manca, a monte, è la fiducia nella capacità del settore pubblico di trovare in se stesso le forze per rigenerarsi, facendo leva sulle migliori energie e capacità di cui dispone. Bloccare la contrattazione significa rinunciare a priori ad investire su quelle forze.

Il prezzo da pagare è alto: un danno economico che grava già da quattro anni sulle spalle di tre milioni di persone al servizio dello Stato; una produttività stagnante; una grave compressione del ruolo e dello spazio d’azione della rappresentanza sindacale, presupposto non soltanto di una sana dialettica democratica all’interno del Paese, ma anche di una maggiore stabilità sociale.

I numeri parlano chiaro. La spesa pubblica si è attestata a quota 801 miliardi (registrando un incremento del 33,5% dal 2001 al 2012) con una previsione per il 2014 di quasi 810 miliardi. La dinamica di crescita è ancora più accentuata (+51,5%) se si considera la spesa al netto degli interessi, a conferma del fallimento di tutte le misure che, nelle intenzioni, avrebbero dovuto inaugurare una nuova stagione basata su scelte responsabili, di efficienza, efficacia e congruità con gli obiettivi programmati. 132 miliardi – ingenti somme sottratte allo sviluppo del Paese, frutto di insipienze gestionali perpetrate da una classe dirigente incapace di operare scelte di qualità e innovazione – si spendono in acquisto di beni e servizi.  Mentre una fetta sostanziosa è servita ad alimentare gli sprechi delle oltre 10.000 società pubbliche gestite come veri e propri “poltronifici”, provocando un danno economico che supera il miliardo di euro l’anno.

E il conto salato degli sprechi è ricaduto sul lavoro nei servizi pubblici, nonostante il confronto con altri modelli considerati avanzati restituisca l’immagine di un’Italia virtuosa che investe il 10,5 del Pil per le retribuzioni, contro una media Ue del 10,6; che destina il 45,5% del Pil alla spesa pubblica, circa un punto e mezzo sotto il livello medio dell’area euro; che ha 5,8 dipendenti pubblici in servizio ogni 100 abitanti, contro i 6,5 della Spagna, i 9,2 del Regno Unito, i 9,4 della Francia.

Il blocco dei contratti: le ragioni del dissenso

E’ condivisibile la preoccupazione riguardante i bilanci dello Stato e la dinamica della spesa pubblica. La spesa consolidata delle pubbliche amministrazioni ha infatti superato la soglia degli 800 miliardi di euro, con una previsione per il 2014 di quasi 810 miliardi. Il contenimento è quindi una giusta priorità.

Dal 2010, anno in cui è stato introdotto il blocco della contrattazione, al 2013, la voce di spesa è scesa di 8 miliardi, consegnando al risanamento oltre mezzo punto in termini di rapporto spesa/ Pil.

A questo calo dei costi vivi per il personale hanno contribuito le misure di forte limitazione al turn-over, che hanno ridotto gli organici delle amministrazioni pubbliche. Dal 2006 al 2012, i lavoratori sono scesi di 310 mila unità. Considerando inoltre che nei prossimi anni sono previste quasi 130 mila uscite di dipendenti dal ciclo produttivo (per raggiunti limiti di età o per anzianità di servizio), l’immissione di 70 mila non servirà a coprire i vuoti di organico, anzi sarà il segno di un ulteriore taglio lineare al personale in forza nella pubblica amministrazione.

Dalla lettura di questi dati, emerge che il vero problema non è quello del costo del lavoro pubblico, come una ben orchestrata campagna mediatica diffamatoria ribadisce da alcuni anni. Ma quello dell’efficientamento del lavoro e degli organici, finalizzato alla riqualificazione dei servizi. In una parola: la riorganizzazione volta all’innovazione.

Il danno economico cagionato da un quinquennio di mancato rinnovo contrattuale si stima, a seconda dei comparti, da 2.800 a 5.600 euro medi. Una perdita del potere d’acquisto per nulla compensata dal bonus fiscale, che non ha sanato le passività legate al mancato rinnovo, ha riguardato solo una parte dei dipendenti pubblici ed è stato ampiamente assorbito dall’inasprimento fiscale.

Quanto hanno perso i lavoratori per mancati rinnovi (in euro)

COMPARTO Perso al primo rinnovo
contrattuale
Perso anni 2013-2014 Totale perso
per mancati rinnovi
scuola 1.829,57 1.009,39 2.838,96
ist. form.ne art.co mus.le 2.484,46 1.370,70 3.855,16
ministeri 1.986,17 1.095,79 3.081,97
presidenza consiglio ministri 3.576,82 1.973,37 5.550,18
agenzie fiscali 2.485,31 1.371,17 3.856,48
enti pubblici non economici 3.020,17 1.666,26 4.686,43
enti di ricerca 2.448,80 1.351,03 3.799,83
università 1.894,55 1.045,24 2.939,79
servizio sanitario nazionale 2.126,99 1.173,48 3.300,47
regioni ed autonomie locali 2.002,38 1.104,74 3.107,12
regioni a statuto speciale 2.335,54 1.288,54 3.624,08
autorità indipendenti 4.671,57 2.577,35 7.248,92
enti art.70-co. 4 – d.lgs165/2001 3.628,13 2.001,67 5.629,80
enti art.60 -co. 3- d.lgs165/2001 2.060,60 1.136,85 3.197,45

Il Governo sostiene che mancano le risorse per rinnovare i contratti: 2,1 mld per il 2015 secondo il Def. La verità è che non vuole rinnovare i contratti, perché i soldi per farlo vanno trovati… prima di tutto attraverso l’innovazione e la revisione della spesa. E poi abbattendo i costi improduttivi: come quelli sostenuti per le consulenze esterne, che drenano 1,2 mld l’anno, e per la dirigenza “in eccesso” che gonfia la spesa complessivamente sostenuta per il management pubblico fino a toccare i 20 miliardi l’anno. O quelli dei cda delle partecipate. O ancora, quelli degli appalti poco trasparenti e degli incarichi fiduciari. Oppure infine, le tariffe gonfiate e il dumping contrattuale della sanità privata accreditata o del terzo settore.

Il blocco della produttività

Dire che la macchina pubblica non è nel suo insieme molto dispendiosa non significa che non necessiti di una seria e attenta strategia di spending review. Ci chiediamo allora: cosa propone il governo per migliorare l’efficienza/efficacia/appropriatezza del modus operandi della PA? Di alzare la fiducia del corpo sociale sottraendo ulteriori risorse alla macchina pubblica? E puntando il dito contro i presunti privilegi dei dipendenti pubblici?

Sarebbe il caso di proporre al “governo innovatore” una strada nuova. Non è possibile una crescita senza aumento della produttività. Questo significherebbe, però, chiudere la strada a tutte le oligarchie che da troppo tempo soffocano la crescita, per aprirsi al confronto con tutte le parti in causa. Ma confronto, si sa, è un termine non caro a questo governo.

Dialogo sociale e ruolo delle rappresentanze

In un paese civile e moderno, il confronto tra sindacati, organizzazioni degli imprenditori e istituzioni pubbliche è una prassi nella definizione delle politiche socio-economiche.

Dobbiamo rafforzare il ruolo delle parti sociali a tutti i livelli, se vogliamo uscire dalla crisi e preservare i vantaggi del modello sociale europeo. Un dialogo sociale ben strutturato è altresì indispensabile per rispondere alle sfide del cambiamento demografico e per riuscire a migliorare le condizioni di lavoro e a rafforzare la coesione sociale.

È di cruciale importanza che i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro (parti sociali) partecipino attivamente all’elaborazione delle riforme della pubblica amministrazione, dal momento che le soluzioni individuate attraverso il dialogo sociale sono in genere più ampiamente accettate dai cittadini, più facili da attuare nella pratica e meno atte a suscitare conflitti. Accordi consensuali con l’intervento delle parti sociali contribuiscono quindi a garantire la sostenibilità a lungo termine delle riforme economiche e sociali. Di fatto, i paesi con un dialogo sociale consolidato e istituzioni di relazioni industriali forti sono generalmente quelli in cui la situazione economica e sociale è più solida e meno soggetta a pressioni.

Appare fortemente antidemocratica, quindi, una concezione che, spacciandosi per “democratica”, respinge i corpi intermedi della rappresentanza per dialogare direttamente (ma è poi vero dialogo?) con i cittadini, secondo quella che appare ormai una prassi: lettere aperte, proposte e risposte on line, slide esplicative di testi di legge reperibili solo a ridosso della conclusione dell’iter parlamentare. Ma queste sono davvero forme di partecipazione democratica utili alla costruzione di un progetto comune? O non è piuttosto il tentativo di mortificare l’unica leva possibile di organizzazione e produttività, in nome di un preoccupante decisionismo plebiscitario?

Poiché la “tentazione” di togliere spazio e voce ai sindacati, in particolare a livello aziendale (con buona pace del modello tedesco, che invece sa esaltarne tutto il potenziale attraverso solide prassi partecipative) non nasce con l’attuale legislatura, ma ha attraversato, in forme più o meno evidenti, tutto l’ultimo lustro, sarebbe il caso di chiedersi in che misura proprio questa battaglia al sindacato – unita agli effetti perversi della politica dei tagli lineari spacciata per “spending review” – non abbia dato il colpo di grazia alla produttività del settore pubblico, anziché limitarsi a castigare amministrazioni troppo permissive o a pungolare i fannulloni.

Ci aspettiamo, quindi, una sfida aperta, positiva e costruttiva da parte del governo. Da parte sua, il mondo sindacale dovrà attuare una drastica inversione di marcia, secondo i ritmi incalzanti che richiede l’Europa, abbandonando le liturgie negoziali, a favore di una diffusione veloce di intese di secondo livello. Il Governo promette il ricambio generazionale… ma la riforma taglierà ancora il personale!

Le dotazioni organiche sono il frutto di quanto resta dopo quattro anni di blocco del turn-over: una misura che ha causato la perdita di 310.000 lavoratori dal 2006 al 2012 (ultimo dato disponibile da Conto annuale 2013). Il Governo propone di sanare l’emorragia della forza lavoro con un ricambio generazionale assicurato dallo sblocco progressivo del turn-over e dall’abolizione del trattenimento in servizio. Che equivale a dire l’immissione di 70.000 lavoratori. Peccato che da qui al 2018 siano previste 128.000 uscite. Il risultato, dunque, è il taglio di altri 57.000 posti di lavoro. Il Governo dice che il cambiamento parte dalle persone… ma non c’è investimento nelle competenze!

E questo solo a voler fare un ragionamento sulle teste e non sulle professionalità. Cioè calcolando quante unità verranno meno senza badare a quali. Perché il Governo innovatore parla di “una sfida in positivo rivolta a lavoratrici e lavoratori volenterosi in quanto protagonisti della riforma della Pubblica Amministrazione” e poi adotta misure in cui non si intravede alcuna forma di valorizzazione delle competenze o sviluppo del potenziale..

Il Governo promette la fine del precariato… ma cosa fa per le migliaia di lavoratori flessibili che attualmente operano nel sistema dei servizi al cittadino?

Il governo promette di mettere fine al precariato nella Pa. Con grande enfasi mediatica, propone di stabilizzare 150 mila docenti nella scuola. Per ora è solo un altro annuncio. Dimentica però che ci sono migliaia di lavoratori competenti e motivati che lavorano da anni per la Pa e senza i quali tanti servizi pubblici si fermerebbero. Sono i 120mila lavoratori precari dei Ministeri, degli Epne, della Sanità, delle Regioni e delle Autonomie locali, ai quali sono da aggiungere altre decine e decine di migliaia di precari dei servizi pubblici affidati a privati, dalla cooperazione alla sanità privata ai servizi di emergenza e soccorso. Anche per loro servono certezze e percorsi di stabilizzazione. Ma su questo il Governo glissa irresponsabilmente!

Il Governo parla di contratto unico… ma assiste passivo al dumping contrattuale nei settori privati accreditati!

Nei settori privati che svolgono funzioni pubbliche, e che risultano completamente finanziati dal bilancio pubblico, lavorano ormai circa un milione di lavoratrici e lavoratori. Terzo settore, cooperazione sociale, sanità accreditata… forniscono servizi fondamentali per i cittadini ma, rispetto al pubblico in senso stretto, in questi comparti si lavora da sempre in condizioni di maggiore debolezza quanto a retribuzioni e tutele contrattuali. E si assiste al continuo tentativo da parte dei datori di lavoro di ritoccare le condizioni sempre al ribasso. Nella sanità accreditata, poi, il rinnovo contrattuale è rimasto fermo al 2007.

La nostra mobilitazione: verso la manifestazione nazionale

Daremo forza e risonanza a queste rivendicazioni con iniziative in tutti posti di lavoro e in tutti i territori, che accompagneranno la mobilitazione unitaria verso la grande manifestazione nazionale di tutti i settori del pubblico impiego dell’8 novembre 2014 a Roma.

Iniziative provinciali

1) Conferenza stampa per presentare la campagna di mobilitazione prevista per martedì 7 ottobre 2014

Luogo: sede Cisl

Orario: dalle ore 12

Obiettivo: Sensibilizzare l’opinione pubblica sugli argomenti della mobilitazione che non attengono soltanto al rinnovo del contratto ma al buon funzionamento dei servizi pubblici.

2) Attivo dei delegati Cgil Cisl Uil

Data: mercoledì 8 ottobre

Orario: dalle ore 9 alle 12

Modalità: utilizzo ore di assemblea + permessi dove c’è ancora disponibilità

Luogo: Sede Cisl

Obiettivo: partecipare le iniziative di mobilitazione e raccogliere adesioni per la manifestazione a Roma.

3) Avvio campagna raccolta firme per sostegno piattafomra fisco e previdenza

Avviare una campagna informativa sulla piattaforma sindacale su fisco e previdenza per superamento legge Fornero e raccolta firme

4) Comparto autonomie locali

Assemblea a Verona per gli enti locali della città

Orario: da definire

Data: da definire

Luogo: Teatro Stimmate

Obiettivo: illustrare la campagna di mobilitazione; raccogliere adesioni per la manifestazione di Roma; illustrare la proposta confederale su fisco e previdenza

Assemblee territoriali sul territorio provinciale

Date: da definire

Orari: da definire

Obiettivo: illustrare la campagna di mobilitazione; raccogliere adesioni per la manifestazione di Roma

Dibattito/confronto con i candidati Sindaci al nuovo ente di area vasta

Data: giovedì 9 ottobre

Orario: dalle ore 17.00 alle 19.00

Luogo: Hotel San Marco – Sala Riunioni

Modalità: vengono preparate alcune domande che saranno inviate ai candidati, che verranno poste durante il dibattito/confronto da parte di un moderatore. Dovranno essere coinvolti i dipendenti della Provincia e degli enti locali, nonché il livello confederale, pensionati e cittadini e invitata la stampa.

Obiettivo: Favorire una riflessione sulle nuove funzioni dell’ente, in relazione al riordino delle provincie (legge n.56/2014); Dare attuazione all’art.16 dell’accordo ai sensi del comma 91 dell’art.1 della legge 56/2014 concernente l’individuazione delle funzioni di cui al comma 89 dello stesso articolo, siglato a Roma tra Stato, Regioni, Comuni e Provincie nella seduta della Conferenza Unificata in data 11 settembre 2014, che prevede la partecipazione dei rappresentanti di area vasta in sede Regionale a nazionale per la definizione delle funzioni e risorse finanziarie; impegnare i candidati ad un percorso di costruzione della nuova area vasta come ente catalizzatore di servizi comunali; recuperare spazio sugli organi di stampa per contrastare i continui attacchi mediatici al sindacato e proporsi come soggetto attivo nella costruzione dei servizi pubblici; coinvolgere pensionati e cittadini su un tema di grande interesse per fare verità circa la politica di chiusura delle provincie cavalcata da tutti senza un progetto complessivo di riorganizzazione dei servizi pubblici.

5) Comparto sanità e case di riposo (Ipab)

Dibattito/confronto sul tema del riordino del sistema socio sanitario a Verona, in relazione ai servizi offerti all’utenza e ai temi della mobilitazione che attengono il lavoro pubblico.

Data: giovedì 23 ottobre

Orario: dalle ore 20.30 alle 22.30

Luogo: da definire

Modalità: Vengono invitati il direttore generale dell’Ulss n.20 nonché un direttore amministrativo e un direttore sanitario delle altre aziende; viene invitato anche un direttore generale di una casa di riposo di grandi dimensioni; Vengono preparate alcune domande che saranno inviate ai candidati, che verranno poste durante il dibattito/confronto da parte di un moderatore. Dovranno essere coinvolti i dipendenti della sanità e delle case di riposo, nonché il livello confederale, pensionati e cittadini e invitata la stampa.

Obiettivo: Coinvolgere i responsabili veronesi del sistema socio sanitario per illustrare le azioni conseguenti agli atti aziendali che verranno poste in atto in relazione al servizio pubblico sanitario e gli operatori che vi operano; recuperare spazio sugli organi di stampa per contrastare i continui attacchi mediatici al sindacato e proporsi come soggetto attivo nella costruzione dei servizi pubblici; coinvolgere pensionati e cittadini su un tema di grande interesse.

6) Comparto Stato

Presidio davanti alla sede dell’Inps con volantinaggio ai cittadini e raccolta firme per campagna sostegno fisco e previdenza.

Data: Venerdì 31 ottobre

Orario: dalle ore 9 alle 12

Luogo: sede Inps Verona

Obiettivo: Sensibilizzare la cittadinanza sulle funzioni svolte dai lavoratori pubblici soprattutto per quanto riguarda il ruolo dell’Inps e della concessione dei sussidi ai cittadini

Assemblea presso l’Inps allargata a tutti gli enti centrali per illustrare la campagna di mobilitazione e raccogliere adesioni per la manifestazione di Roma.

Data: Venerdì 31 ottobre

Orario: dalle ore 13 alle 14.30

Luogo: sede Inps Verona

7) Trasferimento a Roma per partecipare alla manifestazione programmata per il giorno 8 novembre 8 novembre


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