Il Jobs Act alla prova delle Camere


Il disegno di legge delega approvato al Senato n.1428 in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino dei rapporti di lavoro e di sostegno alla maternità e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro si colloca in un contesto di oggettiva difficoltà per effetto della prolungata fase di crisi che si protrae dal 2008.

Infatti i dati sulla disoccupazione, che supera oramai il 13%, e i rapporti dei diversi istituti (Istat, CENSIS, Banca d’Italia) evidenziano ricadute e sofferenze nelle diverse aree territoriali, a cui si associa il costante ricorso agli ammortizzatori sociali, come certificato dai dati diffusi dall’INPS, sia sul versante delle tutele in costanza di rapporto di lavoro che su quello della disoccupazione involontaria.

L’obiettivo del Jobs Act alla prova del Parlamento deve essere quello di occuparsi dei ragazzi che lavorano nei call center, delle giovani laureate costrette ad accumulare lavoretti part time e firmare, magari, dimissioni in bianco in vista di una possibile maternità e dell’esercito delle partite Iva spurie o dei cinquantenni che restano senza lavoro.

Aggiornare il codice del lavoro non significa cancellare i diritti dei lavoratori. Significa, anzi, abbracciare tutto il mondo del lavoro, compresi quelli che fino ad oggi sono sempre rimasti al di fuori di ogni diritto.

Il Jobs Act non deve ridurre le garanzie, ma deve allargarle a tutti i lavoratori attraverso il meccanismo del contratto a tutele crescenti che offre protezione a tutti i dipendenti, che fin dal primo giorno hanno garantiti gli ammortizzatori sociali. Proprio perché il lavoro è dignità e perché il lavoro arriva se c’è la crescita, dobbiamo creare le condizioni perché ci sia più lavoro per tutti, ben sapendo che riformando il sistema possiamo essere più attraenti per gli investitori esteri e per i nostri stessi imprenditori.


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