Industria 4.0. Il Nord Est è chiamato a cambiare pelle


di Massimo Castellani, Segretario Generale Cisl Verona

La quarta rivoluzione industriale. La prima era rappresentata dalle macchine azionate dalla forza vapore, la seconda dalle catene di montaggio e del motore a scoppio, la terza con l’avvento di internet e la quarta, nascente, dall’era digitale.

Al Veneto, a Verona e alle sue università il Governo ha riconosciuto un ruolo importante, fondamentale per la ricerca e lo sviluppo dell’innovazione. Il nord est già e non più locomotiva del paese. Il nord est dove il piccolo era bello e ora non più. Il nord est dove i ragazzi abbandonavano la scuola a 15 anni per andare al lavoro in fabbrica.

Il Nord Est, e quindi Verona, è chiamato a cambiare pelle. Il piccolo per la ricerca e gli investimenti innovativi non solo non è più bello ma è stato spazzato via dal forte vento della crisi. Il piccolo è ancora bello se si aggrega con altri piccoli creando filiere in grado di competere nel mercato globale.

Per l’innovazione e per la ricerca servono elevate professionalità frutto di studio e ricerche accademiche. Serve continuità perché ciò che pensato per l’oggi potrebbe essere già superato domani. L’accelerazione dell’innovazione non permette frenate o galleggiare su posizioni acquisite.

La notizia di questi giorni dell’aggregazione degli atenei veneti di Padova, Venezia, IUAV e Verona in un polo di ricerca, Vega di Marghera, fa sperare fiduciosi ad un proficuo avvio di un ulteriore strumento indispensabile rappresentato dall’intersecarsi del mondo accademico con quello produttivo. Non solo quindi alternanza scuola lavoro ma ricerca e lavoro in un rapporto stretto finalizzato allo sviluppo innovativo della produzione, dei prodotti, della logistica e delle reti di vendita perché, come insegnava Olivetti : è inutile fare ottimi prodotti se poi non li facciamo conoscere e li sappiamo vendere.

Industria 4.0 è digitalizzazione, è robotica, è governo dei processi produttivi a distanza con strumenti digitali. Come sempre i cambiamenti spaventano. Si eccepisce che un’eccessiva robotizzazione e digitalizzazione ridurranno drasticamente la mano d’opera. Direi che siamo alle solite, all’inizio del secolo scorso i braccianti scioperavano contro l’utilizzo dei primi trattori nelle campagne. Per fortuna in fretta si è capito che per produrre trattori servivano altri operai e latro tipo di professionalità.

Due riflessioni, la prima: non è possibile pensare di avviare un processo di trasformazione produttività di questa portata, industria 4.0, senza il coinvolgimento partecipe e responsabile dei lavoratori. L’industria di ieri, di oggi e quella di domani sarà fatta di persone e più elevato è l’apporto cognitivo che a queste viene richiesto nella partecipazione dei processi produttivi e più elevato dovrà essere il grado di coinvolgimento professionale ed emozionale. Tutti dovremo essere partecipi e consapevoli che quanto stiamo vivendo è “epocale”.

La secondo riflessione attiene all’altra parte del mondo del lavoro, gli invisibili. Coloro i quali, come all’inizio del ‘900 continuano a sottostare a regimi di caporalato o peggio di schiavismo. Pagati alcuni euro all’ora senza assicurazioni sociali. Non pensiamo solo alle campagne del sud Italia, pensiamo anche alle nostre realtà locali dove gli elementari diritti sono fermi da oltre mezzo secolo e non pensiamo che siano casi isolati. Sono numerosi, purtroppo invisibili solo perché in molti non li vogliono vedere.

Con questo strabismo, industria 4.0 e caporalato dobbiamo fare i conti per non agganciarci alla locomotiva dell’alta velocità avendo sempre con noi ancora situazioni riconducibili alle filande di fine ‘800 dove i bambini lavoravano perché le loro piccole dita gli permettevano di essere più veloci e soprattutto venivano pagati poco.


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